Mario Furlan, life coach – Perché non crediamo più nel lockdown

Un negozio chiude per Covid: riaprirà?

Un negozio chiude per Covid: riaprirà?

In marzo e aprile, durante il primo lockdown, noi italiani abbiamo risposto con grande compostezza e disciplina ai limiti imposti. Abbiamo accettato, quasi senza battere ciglio, le proibizioni imposte dallo Stato e dalle Regioni: eravamo convinti che, stringendo i denti per qualche mese, saremmo tornati alla normalità.
Adesso, invece, benché non siamo (ancora?) al lockdown totale, chiusure e divieti infastidiscono una parte crescente della popolazione. A molti sembrano soprusi ingiustificati. Lo spirito di unione che c’era sei mesi fa non c’è più; ora prevalgono rabbia, rancore, contestazioni. E non solo perché negli ultimi mesi non si è fatto abbastanza per prevenire ciò che sta accadendo.
Perché, allora, questo malumore diffuso?
La risposta va cercata nella nostra mente.
Infatti siamo disposti e motivati a fare sacrifici, anche pesanti, a due condizioni:
1) Se sappiamo che servono;
2) Se sappiamo quando finiranno.
Queste due condizioni sono venute meno. Soprattutto la seconda.
Molti non sono affatto convinti che chiudere palestre, cinema, teatri, bar e ristoranti alla sera serva davvero a combattere il virus. Appaiono sacrifici tanto drammatici quanto inutili. Tant’è vero che non solo i politici, ma anche i virologi sono divisi sull’utilità delle misure. Quel che è peggio, però, è che non abbiamo la più pallida idea di quando usciremo dal tunnel: a Natale? In estate? O forse mai, se è vero il virus si indebolisce con il caldo, ma ritorna con il freddo? Arriverà il vaccino? Funzionerà? Oppure dopo la seconda ondata ne arriveranno una terza, una quarta e chissà quante altre?
E’ proprio questa estrema incertezza a demotivarci. Le autorità ci impongono nuovi sacrifici; e noi, pur obbedendo, ci chiediamo – sotto sotto – se ne valga davvero la pena.

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