La vita è un gioco. Che giocatore sei?

La vita è un gioco. Ci sono quelli che giocano per non perdere: giocano in difesa. Ci sono quelli che giocano per competere: vogliono battere gli avversari. E ci sono quelli che giocano per vincere. Non sugli altri. Ma su se stessi.
Chi gioca per non perdere fa il minimo necessario. Per non perdere il lavoro, il partner, la salute. Si accontenta di sopravvivere. Chi gioca per competere si sforza di arrivare primo. Vuole sentirsi il migliore. Chi gioca per vincere sa che la vittoria più grande non è sugli altri. Ma su se stessi.  Non conta essere meglio degli altri. Ma diventare persone migliori.

Scegliti bene gli amici!

Vai a Roma e, dopo un po’, acquisisci la tipica parlata romana: Ahò, mortacci tua! Vai a Milano e ti metti a a parlare in milanese:  Va fora di pé! Va da via i ciapp!  Viene da sorridere. Ma dietro al sorriso riconosciamo una verità: ci adattiamo all’ambiente in cui ci troviamo, ci lasciamo influenzare da esso. Non ne assumiamo soltanto l’accento e le espressioni tipiche, ma anche la mentalità.
Per questo serve circondarsi di persone che ci aiutino a crescere. Se stai tra i disfattisti, i pessimisti, i negativi diventerai come loro: ti convinceranno che il mondo è nero. Se invece frequenti persone ottimiste, positive capirai che oltre al buio c’è anche la luce. Sta a te alzare gli occhi al cielo e scorgerla tra le nuvole.

Sicuri sì, arroganti no

Gheddafi si sentiva  intoccabile: ora è alla frutta. Dominique Strauss-Kahn era abituato a prendersi le donne con la forza: ora rischia 70 anni di carcere. Chi ha potere e soldi pensa spesso di essere al di sopra degli altri. Della legge. Delle regole. Di poter fare ciò che vuole. Si circonda di cortigiani, di falsi amici che lo lodano. Anche quando sbaglia. E perde il contatto con la realtà. E’ il peccato che gli antichi greci chiamavano di hubris: un mix di arroganza, supponenza, tracotanza, eccessiva fiducia in se stessi.
Anche a noi, nel nostro piccolo, può capitare di sentirci troppo sicuri. E di sottovalutare i pericoli. L’autostima va benissimo, ma non deve sollevarci su un piedistallo. Perché a quel punto è facile cadere. E ritrovarci a pezzi. Meglio tenere sempre i piedi per terra. Ed essere umili, semplici, coscienti dei nostri limiti.

Meglio comprendere che giudicare

Quando ho saputo dell’uccisione di Bin Laden ho gioito. Poi mi sono vergognato. Primo, perché non è bello festeggiare un omicidio. Secondo, perché non sta a me giudicare.
Non giudicate per non essere giudicati: lo dice il Vangelo. Giudicare è facile. Capire è difficile. Ma dobbiamo sforzarci di comprendere il perché. Perché il collega non collabora. Perché il capo ce l’ha con noi. Perché l’ amico si è allontanato. Perché l’amore si è raffreddato.
Giudicare, condannare serve solo a giustificarci. A non farci sentire responsabili di quanto accade. Tanto la colpa è sempre degli altri. Che a loro volta giudicano noi. Quindi lasciamo il giudizio a Dio. A noi spetta capire. E, se possibile, perdonare.