Negli anni Sessanta, nello zoo di Washington, viveva una rarissima tigre bianca, chiamata Mohini. Era costretta, poverina, a stare chiusa in una gabbia di tre metri per tre: lei, abituata a correre per decine e decine di chilometri, si ritrovò in cella. Imprigionata. In galera. Cercò in tutti i modi di uscirne, con l’unico risultato di farsi male: a forza di andare a sbattere contro le sbarre della gabbia si procurò ferite alla testa, alla bocca e alle zampe.
La triste storia di Mohini commosse l’opinione pubblica americana e si decise di darle uno spazio molto più ampio, di 5mila metri quadri. Con colline, alberi, laghetti… Ma quando la tigre venne finalmente liberata nella sua nuova dimora, cosa fece? Si rintanò un un angolino. Di tre metri per tre. E non si mosse di lì fino alla morte. Aveva rinunciato, per sempre, alla libertà.
Anche noi, a volte, siamo come lei. In psicologia si parla di incapacità appresa. Vale a dire che se ci tarpano le ali una, due, tre volte ci rinchiudiamo in una gabbia mentale ed emotiva, e ci restiamo per sempre. Non cerchiamo più di liberarci. Anche se la situazione cambia, siamo talmente frustrati e sfiduciati che rinunciamo a uscire dalla nostra zona di agio. Cioè a tentare nuove imprese. A realizzare i nostri sogni. E a renderci felici.
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