L’ultima settimana è stata particolarmente difficile per me. Perché nell’arco di cinque giorni sono morti sia mio padre, sia un caro amico: Walker, il ViceCoordinatore dei City Angels di Campomarino. Il primo di tumore al cervello, il secondo di coronavirus.
Parlarti di motivazione e fare il life coach e il motivatore può essere difficile quando ti senti a terra. Ma credo che proprio questa situazione possa aiutarmi e aiutarti a comprendere meglio cosa è bene fare in casi del genere.
Innanzitutto sfatiamo il mito che sia possibile essere sempre carichi e motivati. Non è vero. In questo momento, pur essendo un motivatore e un life coach, mi sento piuttosto scarico e demotivato. Come recita l’Ecclesiaste nella Bibbia, per ogni cosa c’è il suo tempo. C’è un tempo anche per il lutto e per il dolore.
Va rispettato.
Quello che possiamo fare non è eliminare questo tempo: non è possibile, e non sarebbe nemmeno giusto. Sarebbe inumano. Ma possiamo ridurre il tempo della inevitabile sofferenza. Anziché starci male per settimane, mesi o – come capita ad alcuni – per il resto della vita, possiamo soffrire per un periodo molto più breve.
Quando mio padre è morto, martedì scorso, mi sono sentito scosso. Sradicato. Rintronato.
Sono rimasto a casa con mia madre e i miei fratelli dal mattino, quando è deceduto, fino al pomeriggio. Muto. Avvolto nei miei pensieri. Poi sono andato a fare la spesa per mia madre. E al supermercato mi sono concentrato su ciò che dovevo prendere. Poi ho cominciato a pensare a quanto avrei dovuto fare l’indomani, e nei giorni successivi.
Se avessi continuato per giorni a rimuginare il dolore della perdita di mio padre, e poi quello della perdita dell’amico City Angel, non avrei la forza di parlare ora con te. E allora, quando mi capita una disgrazia tra capo e collo, faccio così: mi trincero nel mio dolore per qualche ora. Piango: non mi vergogno a dirlo. E le lacrime mi aiutano a scaricare la tensione. Dopodiché le asciugo e mi concentro su due cose.
La prima: cosa posso imparare da quanto è successo. E cosa posso fare, in questi due casi specifici, per tenere viva la memoria della persona cara che mi ha lasciato.
La seconda: cosa posso fare per rendermi utile. E per continuare a vivere. Se non fossi andato a fare una cosa banale come la spesa perché chiuso in camera a singhiozzare avrei causato un problema a mia madre anziana, che non può uscire di casa.
L’incontro con la morte ci può aiutare a vivere meglio. Perché ci ricorda di quanto sia breve la nostra vita. E di quale sia la nostra missione da compiere qui, su questo pianeta, prima di lasciarlo.
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