I bambini, essendo infantili, pretendono che tutte le ciambelle riescano col buco. Vogliono vincere sempre, non accettano la sconfitta. E se non ottengono quello che vogliono frignano, pestano i piedi, si disperano. Fanno le vittime. E il vittimismo, come sappiamo, è una delle tante declinazioni del rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità. Oppure diventano aggressivi. Può anche capitare che abbiano tutte queste reazioni insieme.
Ricordo quando, a 5 anni, facevo la boxe con mio padre. Ci mettevamo entrambi i guantoni, e ci tiravamo pugni. Io con tutta la mia forza, lui delicatamente. Se non lo mettevo ko mi arrabbiavo. E lui, naturalmente, stava al gioco. Fino a quando, un giorno, mi mise al tappeto lui. Io mi infuriai. Al che lui mi diede una lezione preziosa: “Nella vita ti possono buttare a terra. Ma non importa. L’importante è non piangere; imparare dai propri errori; e ritirarsi in piedi. Solo così potrai vincere al prossimo incontro!”
Crescendo, impariamo infatti che prima o poi perdi. E’ matematico. Fa parte della vita. Ma la sconfitta può poi trasformarsi in vittoria, se capiamo la lezione e non commettiamo più lo stesso errore. Come ha detto il Dalai Lama, “quando perdi, non perdere la lezione”.
Tutti, prima o poi, perdiamo. Perché tutti sbagliamo. Ma c’è chi è pronto a riconoscere i suoi errori, e a correggerli. E chi, invece, cerca di occultarli. Se rifiutiamo la sconfitta, fingendo di non aver sbagliato nulla e dando tutta la colpa agli altri, non impariamo nulla. E siamo destinati a ripetere lo stesso errore. Come sta facendo Donald Trump: pretende di avere vinto le elezioni, pur avendole perso. Non accetta la realtà. Dimostrandoci, così, come si possa restare infantili anche in tarda età. Perché la maturità non è una questione anagrafica, ma mentale.
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