Quando andavo a scuola, se prendevo sette o otto i miei genitori mi chiedevano, seri seri, perché non avessi preso nove o dieci. E se in un compito in classe, o in un’interrogazione, prendevo dieci la loro risposta era: “Uh, com’era facile!”
Naturalmente ci restavo malissimo. E mi chiedevo se valesse la pena studiare tanto per non essere mai ricompensato con una parola buona.
Quando, anni dopo, chiesi loro come mai fossero stati così parchi di complimenti, la loro risposta, in perfetta buona fede, fu: “Quando fai bene qualcosa, la soddisfazione più grande è la consapevolezza del proprio lavoro ben fatto. I complimenti degli altri non servono, servono solo quelli che vengono dal tuo cuore. Non dobbiamo essere noi a motivarti; se tu che ti motivi da solo”.
E’ falso. Tutti abbiamo bisogno di complimenti sinceri da parte degli altri. E soprattutto da parte delle persone cui teniamo di più. E’ facile – sul lavoro come in famiglia – cogliere nell’altro qualcosa di sbagliato: gli errori saltano subito all’occhio. E’ meno immediato accorgerci che sa facendo qualcosa di giusto. Diciamoglielo. Lodiamolo. Lo motiverà a farlo ancora.
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